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Corti e diritti umani: una questione di punti di vista


Probabilmente, quel che mi accingo a trattare è un argomento troppo vasto e complesso per essere affidato alle cure di un semplice studente universitario, per di più alle prime armi. Non me ne vogliano, dunque, tutti coloro che studiano e trattano questi temi oramai da anni. Il mio intento, infatti, non è innalzarmi a pari merito delle suddette figure, ma provare a spiegare un qualcosa che a volte risulta molto ermetico e di conseguenza stimolare una discussione, un dibattito il più dialettico possibile, poiché purtroppo “l’ignoranza di uno è misura della scienza dell’altro”, come diceva Algarotti. Troppo a lungo è stato così ed ancor oggi ne paghiamo le conseguenze.

Detto ciò, se c’è una parola dalla quale bisogna necessariamente iniziare per affrontare il tema, questa è “interpretare”: un’attività quotidiana, quasi automatica, che magari facciamo inconsciamente quando studiamo, quando siamo davanti un cartello o ad un buon libro. Per un giurista l’interpretazione riveste un’importanza fondamentale e ciò molto spesso, nella visione più comune, viene confuso con l’ingannare. In realtà, sul piano del diritto, interpretare significa ricercare quell’equilibrio, quel fine che il legislatore si era posto di raggiungere emanando una determinata norma(Ratio legis); porsi cioè la domanda: qual è il fine che si prepone di raggiungere la legge? Credo che un buon giurista, per rispondere al meglio a questo quesito, non può non tener presente che dietro ogni norma vi è un mondo fatto di pazienti realizzazioni, sedimentazioni sociali e di lotte, in pratica di usi e costumi di cui ogni parte dell’ordinamento è espressione, da cui ognuno di noi fondamentalmente proviene. Mores li chiamerebbero i latini. Nulla di più vero poi se si parla di diritti LGBT, e più in generale di diritti umani. Per capir meglio questo concetto ed entrare più nel merito dell’argomento, vi voglio raccontare una storia molto particolare, nella quale non esistono buoni e cattivi e dove essenzialmente non c’è un finale. Forse continua ancor oggi, non è mai terminata e dove un po’ tutti noi ci ritroviamo ad essere protagonisti inconsapevoli.

Siamo in Austria, precisamente a Vienna; una coppia di due uomini conviventi decide di recarsi allo Standesamt del proprio comune (l’equivalente dell’ufficio anagrafe italiano) per poter iniziare le pratiche per contrarre matrimonio civile. E’ il 2002 ed in Austria non esiste alcun istituto giuridico che tuteli le coppie di persone dello stesso sesso e per di più è opinione diffusa tra i giuristi austriaci che presupposto inderogabile al matrimonio, per tradizione e per definizione, sia la differente derivazione biologica dei due coniugi.

Un modo di vedere, questo, che fondamentalmente rimarrà immutato anche con l’introduzione, sette anni dopo, di una legge (Eingetragene Lebensparterschafts-Gesetz) che regolamenta le coppie same-sex. Ed infatti, con decreto del 20 dicembre dello stesso anno, le autorità municipali viennesi (Magistrat) respingono la richiesta dei due uomini, basando la motivazione sull’articolo 44 del codice civile austriaco del 1812, che riserva l’istituto matrimoniale solo a persone di sesso differente. Perfino la Corte costituzionale austriaca, chiamata ad esprimersi su tale questione, statuisce che l’articolo sopra citato non è illegittimo sotto il profilo costituzionale vista la radicata natura eterosessuale della struttura del vincolo matrimoniale all’interno dell’ordinamento . Il caso arriva quindi a Strasburgo: i due uomini lamentano la violazione da parte dello Stato austriaco degli articoli 8, 12 e 14 della CEDU (Carta Europea dei Diritti dell’Uomo), e cioè del diritto al rispetto della vita privata e familiare, a contrarre matrimonio e del diritto a non essere discriminati.

Essendo un’istituzione sovranazionale, la Consulta di Strasburgo non può trascurare i differenti approcci adottati all’interno dell’Unione per regolamentare la materia in questione e il dibattito scaturitone ha assunto connotazione accesa, anche in ragione dei diversi fattori di influenza. Alcuni paesi infatti, come la Germania, hanno introdotto un istituto specifico. Altri come la Spagna o il Belgio hanno invece esteso la possibilità di contrarre matrimonio alle coppie same-sex. Di un certo peso é poi il testo dell’articolo 12 della CEDU: “A partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto”.

Come va a finire, dunque? Secondo la Corte di Strasburgo il concetto di “vita familiare” ingloba anche le relazioni sentimentali e sessuali tra persone dello stesso sesso, e quindi il mancato riconoscimento e la mancata tutela delle coppie omosessuali all’interno di uno Stato membro potrebbero costituire violazione degli articoli 8 (“diritto al rispetto della vita privata e familiare”) e 14 (“divieto di discriminazione”). Tuttavia, la stessa Corte ritiene che la protezione non debba essere necessariamente raggiunta con l’estensione dell’accesso al matrimonio alle coppie same-sex, lasciando pertanto libertà ad ogni Stato di legiferare come meglio crede a tal proposito, introducendo quindi un istituto ad hoc, oppure dando alle coppie omosessuali la possibilità di sposarsi. La Repubblica d’Austria, in conclusione, non avendo emanato alcuna legge fino al 2010 in tal direzione, non ha commesso, a parere della Corte, alcun illecito.

Per molti, ad una prima analisi dei fatti, questa sentenza (Schalk e Kopf c. Austria) potrebbe apparire come una mezza vittoria o addirittura come un totale fallimento. Invero, le cose son più complicate di quel che sembrano e come già accennato prima, questa decisione è il frutto di un percorso interpretativo che i giudici di Strasburgo hanno intrapreso tenendo conto non solo delle norme, ma anche di quella che è la società europea. Scendendo ancor più nel dettaglio, soprattutto in relazione all’articolo 12, ovvero al diritto di contrarre matrimonio, mette in risalto un dibattito che è presente in molti stati europei e che, a mio personale avviso, non riguarda solo quello che è il mondo del diritto in particolare, ma è un approccio che si potrebbe applicare nella lettura di numerosi ambiti della società. Andiamo comunque per gradi. La Corte dei diritti dell’uomo, sebbene non riscontri un obbligo visto il variegato panorama legislativo presente in Europa in merito alla questione, rende evidente un fatto importante, come si può leggere sulla sentenza, ovvero che il diritto a contrarre matrimonio non può ritenersi esclusività delle coppie di sesso opposto (“the Court no longer consider the right to marry enshrined in Article 12 must in all circumstances be limited to marriage between two persons of the opposite sex”). Vi è quindi una lettura dell’articolo 12 che non si limita ad un’analisi meramente letterale, ma analizza il mutato contesto sociale che ha dinanzi prendendone atto; un panorama dove anche il concetto di famiglia è profondamente cambiato, non più circoscritto alla sola procreazione ed educazione della prole, ma fondato fondamentalmente su un legame affettivo. A confermare tale visione, abbiamo anche le delibere di molte Corti costituzionali europee che si sono approcciate a tale materia da una prospettiva simile. Emblematica a tal proposito è la sentenza (S.T.C. n°198/2012) con la quale il Tribunal constitucional di Spagna respinge il ricorso presentato dai deputati del partito Popular contro la legge 13/2005 che estendeva la possibilità alle coppie dello stesso sesso di accedere al matrimonio e all’adozione congiunta, in virtù del fatto che il nucleo essenziale del diritto, (l’eguaglianza dei coniugi, la libera volontà di contrarre matrimonio con la persona scelta e di esprimerla attraverso le forme stabilite dalla legge) non venisse intaccato dalla modifica che la legge fa al Còdigo civil. Particolarmente interessante, a tal proposito, è poi la motivazione addotta dal giudice Pérez Tremps all’interno della sentenza, il quale sostiene che l’estensione alle coppie same-sex ad accedere al matrimonio “non snatura il diritto in questione, nè lo trasforma in un altro diritto, nè impedisce alle coppie eterosessuali di sposarsi liberamente“. Un’altra posizione interessante è poi quella della High Courtirlandese(Zappone and Gilligan v. Revenue Commissioners) che similmente alla Corte costituzionale italiana(sent. n°138/2010), riconosce la tradizionale eterosessualità dell’istituto matrimoniale come inteso dai padri costituenti, non escludendo però la possibilità che il parlamento in futuro possa emanare una legge che vada verso l’equiparazione.

In pratica, nelle corti di tutta Europa ci si è posto un quesito: le norme vanno interpretate in maniera letterale o tenendo presenti i cambiamenti in seno alla società? E’ più importante far riferimento alla parola o all’essenza di un diritto? Una risposta unanime non è stata data e non credo verrà mai fornita, ma se noi analizziamo molti di quei valori che, come si diceva all’inizio, caratterizzano quel che è una società, una prima cosa che possiamo notare è la loro assoluta mutevolezza nel tempo. Basti vedere la stessa famiglia che dall’essere concepita come “estesa” durante il medioevo, con l’avvento della prima rivoluzione industriale si definisce “nucleare”, cioè intesa nell’ambito ristretto dei genitori e dei figli. Ciò è accaduto perché è avvenuto un mutamento nelle esigenze, nei modi di rapportarsi alle cose generato a sua volta da altri cambiamenti cristallizzatisi nel tempo e in tutto questo il Diritto è il primo a risentirne. L’evoluzione della stessa storia umana parla il linguaggio del Diritto; basti pensare alla nascita degli stati nazionali avvenuta con le grandi codificazioni e la creazione della burocrazia, alla rivoluzione francese e americana che han portato alla nascita di tutti quei diritti essenziali, garanzia della libertà dei singoli dallo strapotere statale. E’ l’Ethos (costume, uso) che divieneEthnos (popolo). Ciò avviene soprattutto in quanto il Diritto , come afferma un noto giurista fiorentino, Paolo Grossi, è sia organizzazione del sociale, ma sopratutto osservanzadell’ordinamento che non può e non deve avvenire a causa della paura della punizione, ma soprattutto deve scaturire dall’apprezzamento che noi facciamo d’una legge. Un apprezzamento che può solo derivare da un interessamento e un confronto tra i cittadini che purtroppo non avviene. Questo perché lo si percepisce lontano o il più delle volte come un nemico da sconfiggere o subire, visto esclusivamente come obbligo e comando rilegandolo conseguentemente nei palazzi delle procure, nelle aule del Parlamento e negli uffici della Pubblica Amministrazione snaturato di ogni sua umanità. In conclusione, se vi è un modo per iniziare il cambiamento, quello è proprio il riappropriarsi del Diritto e tornare ad esser consapevoli che siamo noi a fare Diritto, anche quando una legge è di per sè ingiusta. Un intento che mi son voluto preporre scrivendo quest’articolo è quindi quello di cercar di avvicinare i lettori a quello che è un dibattito puramente giuridico, con la speranza che divenga il più possibile di tutti. Come affermava il grande filosofo tedesco Immanuel Kant: “Il diritto non deve mai adeguarsi alla politica, ma è la politica che in ogni tempo deve adeguarsi al diritto”


Documenti di riferimento

Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo:http://www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf

Case of Schalk and Kopf v. Austria: http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/Pages/search.aspx#{“fulltext”:[“schalk kopf v. Austria”],”languageisocode”:[“ENG”],”documentcollectionid2″:[“JUDGMENTS”],”itemid”:[“001-99605”]}

Zappone and Gilligan v. Revenue Commisioners:

Per saperne di più

Links utili

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: http://www.echr.coe.int/Pages/home.aspx?p=home

Commissione europea: http://ec.europa.eu/index_it.htm

Post pubblicato il 20 ottobre 2014 su http://associazionelea.org/le-rubriche-di-lea/

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