top of page

JC LEOPOLD. La tradizione tedesca incontra la cultura italiana con ironia e genialità.

Dal 6 dicembre 2014 al 12 febbraio 2015, CJ Leopold ha esposto presso la Galerie Hochmauren di Rottweil, diretta da Christoph Spreng.

La mostra dal titolo JC LEOPOLD. BILDHAUEREI – OBJEKTE – RADIERUNGEN, ha raccolto le esperienze risalenti agli ultimi dieci anni della carriera artistica di CL Leopold, artista nato a Rottweil ma residente a Monaco di Baviera da diversi anni. L’irriverente polemica, stemperata da una nota di ironia quasi ludica, caratterizza sculture, incisioni e Objekte (oggetti) che strizzano l’occhio all’esperienza dadaista, dalla quale l’artista assorbe la carica ironica e dissacrante traslandola nella contemporaneità. Tutta la sua produzione artistica è legata indissolubilmente alla contrapposizione: tanto nelle esperienze visivo-sensoriali più emotive ed intimistiche, tanto nel confronto tra la tradizione e le nuove sensibilità etico-sociali.

Opere quali Horizontlinie e Goldadern, in cui lucenti linee di orizzonte e venature d’oro creano un contrasto con la materia scabra del legno grezzo e del ferro ossidato – elementi prettamente legati allo stato naturale della materia –, rivelano tutta la preziosità e la casualità dell’attimo inatteso, spesso generato dalla stessa natura, raggiungendo vette quasi contemplative in Goldbogen, dove “l’arco dorato”, che conserva uno squarcio della sua natura legnosa, ricorda persino antiche icone russe.

Nel rapporto con la tradizione, si fa più vivo l’omaggio ai grandi intagliatori ed incisori del Cinquecento, mediati dall’esperienza espressionista mitteleuropea. Il debito è evidente nel trittico ad acquaforte Pommes Essen 1-3, dove l’affaccendarsi nevrotico di una mano – che ricorda forse più i soggiorni monacensi di un viennese come Schiele che non le brutalità spigolose dell’espressionismo più strettamente tedesco – racconta in tre fasi la quotidianità del consumo fast. Stessa concitazione si ritrova in Eine Hand wäscht die andere dove, attraverso un segno nervoso e scattante, due mani in primo piano mettono in scena il detto evidentemente internazionale “una mano lava l’altra”, mentre in Antipoden, allegoria ad incisione di due piedi che si contrappongono, si rievoca l’etimologia di una parola espressione di stati diametralmente opposti, riproponendo il soggetto con uno studio plastico in gommapiuma, a riprova dell’interesse per le molteplici potenzialità plastiche della materia, nutrito dall’artista.

Proprio nella modellazione plastica, la tradizione nord europea risale prepotentemente nel linguaggio utilizzato da CJ Leopold. Nei suoi Downside up, serie di gambe intagliate nel legno che, come tronchi inquietanti, spuntano dal suolo culminando in piedi giganteschi dalle forme colossali, si diverte a sovvertire l’ordine delle cose. Il gioco del “sottosopra”, dell’assurdità di una dimensione rovesciata, attrae in particolar modo questo artista che, nell’opera multimaterica Little big mouth, si diverte a far spuntare le due lunghe gambe di legno dalle fauci di un coccodrillo di peluche evidentemente sottodimensionato – premiato forse dalla sua audacia – suscitando così l’ilarità e lo spiazzamento scaturiti dalla visione di un racconto inverosimile.

La tradizione della scultura lignea unita a quella orale e folcloristica giocano un ruolo rilevante nell’opera Ode an die Provinz – Ode alla provincia –, dove due sculture in legno grezzo, rappresentanti una volpe e una lepre, si fronteggiano mentre una registrazione in loop riproduce due voci dal tono alterato che si augurano a turno la buona notte.

Ma la carica ironica e polemica si esplica nuovamente nella personale visione di ciò che circonda la vita di un comune cittadino, dalla sfera etica a quella sociale, che è alla base dei suoi Teppichtieren – letteralmente tappeti di animali –, nei quali comuni tappeti d’arredo giocano a mascherarsi da trofei di caccia, mescolando le carte di una partita tra ironia e denuncia.

Per capire meglio i processi e le influenze che legano l’artista alla sua produzione, abbiamo rivolto alcune domande a CJ Leopold.

V.P.: Qualche dato biografico per capire meglio chi è l’artista e qual è stata la sua formazione: Chi è JC Leopold? Come ha incontrato l´arte?

CJ: All’anagrafe sono Christoph Leopold, nato a Rottweil (cittadina del Baden Württemberg a pochi km da Stoccarda) nel 1974. Dopo il liceo ho fatto un apprendistato come scultore nei pressi di Costanza, in seguito mi sono trasferito a Monaco di Baviera dove tutt’ora risiedo. Questa esperienza mi ha dato modo di partecipare a diversi progetti artistici e collettivi di studio, contribuendo alla conoscenza del lavoro con materiali per me nuovi.

L’approccio con l’arte è avvenuto per me molto presto, sin da quando ero solo un bambino, visto e considerato l’ambiente artistico nel quale sono cresciuto (mio padre è un insegnante di arte e mio zio e diversi cugini lavorano ed hanno lavorato nel campo della pittura e della grafica). Quindi per me è sempre stato molto naturale vivere circondato dall’arte, visitare mostre o, ad esempio, modellare in argilla figure del presepe.

V.P.: Il rapporto con la tradizione è sicuramente fondamentale nella produzione artistica. Ma quanto influisce sulle suo opere? In Ode an die Provinz per fare un esempio, si rifà ad un vecchio detto tedesco: “Wo sich Fuchs und Hase gute Nacht sage” – “dove la volpe e la lepre si danno la buona notte” –, rievocando il luogo metafisico del “gottverlassen Platz” – posto dimenticato da Dio –. La riflessione si riferisce ad un dato generale o sorge anche nei riguardi del campo artistico?

CJ: La tradizione, per me, è intesa da una parte come artigianalità e perizia, tecniche plastiche e lavorazioni antiche, come l’incisione, dall’altra come linguaggio. D’altra parte i modi di dire e i giochi di parole sono il punto di partenza delle mie idee.

In Ode an die Provinz, dove la volpe e la lepre si dicono a ruoli invertiti "buona notte", ci sono diversi aspetti: l'ambivalenza tra la tranquillità, la semplice chiarezza e la desolazione della provincia (una riflessione autoironica scaturita dalla provenienza da una piccola città quando si va a vivere in una più grande); la ricerca di una fusione tra forma esterna e suono, in seguito al capovolgimento dei rapporti sul piano sociale: La lepre, di norma inferiore, è in posa eretta minacciando con guantoni da boxe e voce mostruosa la timida volpe che risponde con voce infantile. D’altra parte, anche nelle vecchie favole ci si riferisce agli animali per raccontare i comportamenti dell’uomo.

V.P.: A tal proposito, qual è la sua idea sul panorama artistico nel suo Paese?

CJ: Mi fa piacere che oggi siano apprezzate, allo stesso tempo, tante differenti correnti artistiche, non esiste una sorta di dettame che presupponga la prevalenza di una sola forma d’arte, dell’astrazione, ad esempio. Ma devo precisare che la mia è una visione ristretta al campo delle mie conoscenze, che riguardano i colleghi di Monaco e dell’ambiente della mia città natale, Rottweil.

V.P.: Quali sono gli artisti che apprezza maggiormente e che, magari, sono per lei fonte d’ispirazione?

CJ: Gli influssi provengono sicuramente dall’arte degli Objet trouvè, da Picasso, da Duchamp. Dai Nuovi Realisti come Arman, Yves Klein o Daniel Spoerri. Hanno un ruolo importante anche i contemporanei come Timm Ullrichs, Erwin Wurm, Gabriel Orozco, Marcus Berkmann o Tom Grimm, così come la Streetart, la strada in generale, i mercatini delle pulci, la natura, i titoli delle canzoni…

Ma mi appassiona anche la materialità di Lucio Fontana, l’Arte Povera di Giuseppe Penone, e poi gli influssi secolari dell’arte italiana si possono sottovalutare difficilmente in una città come Monaco di Baviera.

V.P.: Tornando nello specifico alle sue opere, che rapporto c’è fra estetica-ironia-denuncia? I suoi tappeti-trofeo, ad esempio, hanno la forma di pelli d’orso e la valenza di orsetti di peluche giocando così fra il serio e il faceto.

CJ: I tappeti di animali appaiono divertenti al primo sguardo, ma allo stesso tempo emanano tutta la tristezza dell’animale cacciato. Ci sono diverse contrapposizioni: i classici trofei di caccia con ciò che sottende la pretesa di potere coloniale, patriarcale, connessi al tappeto da salotto, oggetto attraverso il quale si incontrano sogno esotico e routine domestica; la tensione estetica generata dalla contrapposizione formale tra tridimensionalità della testa, struttura piana del corpo e pattern dei tappeti, soprattutto nella zona del capo. A questo si deve aggiungere il contrasto fra voluminosità e minimalismo della forma, fra aggressività e natura pacifica.

Un altro esempio del sarcasmo alla base della mia produzione artistica si può riscontrare nell’opera Es gibt keine schlechten Menschen, wenn sie gut zubereitet sind, composta da un “tenero” orsetto di peluche intento a sgranocchiare un osso, seduto fra i resti di uno scheletro umano. Per inciso, il punto di partenza è un autore italiano, Stefano Benni, che mi ha dato l’ispirazione per quest’opera alla quale ho assegnato, come titolo, la trasposizione in lingua tedesca della frase “Non esistono uomini cattivi (...) se sono cucinati bene”[1].

V.P.: Progetti e mostre future?

CJ: Per il futuro mi aspetto un copioso fluire di ispirazioni, numerose esposizioni sempre più stimolanti e visitatori entusiasti davanti alle mie installazioni.

Intervista rilasciata il 23 gennaio 2015.

[1] La frase completa è “Non esistono uomini cattivi – dice l’orso – se sono cucinati bene”. In S. BENNI, L’ultima lacrima, Feltrinelli, Milano 1996.

Post recenti
Search By Tags
Non ci sono ancora tag.
bottom of page